Tra Cala Gonone e Santa Maria Navarrese, le aspre montagne del Supramonte si affacciano prepotenti sul Golfo di Orosei, talvolta a picco con impressionanti verticalità, scolpendo uno dei litorali più spettacolari d’Italia e del Mediterraneo. Imponenti bastioni ed alte falesie calcaree, guglie affilate e di grande eleganza, remote e suggestive calette, scorrono quasi senza interruzione in oltre trenta chilometri di natura incontaminata priva di insediamenti stabili.
Questo mio articolo è stato pubblicato sulla rivista Viaggiando nel mese di giugno 2007
Inizialmente di scarso interesse per gli abitanti della Barbagia, questo sorprendente tratto di costa è faticosamente scampato negli scorsi decenni ai progetti di valorizzazione turistica a colpi di strade e villaggi turistici. Non ha una storia paragonabile a quella di altre zone dell’isola, eppure le sue valli, i suoi altopiani e i suoi sentieri sono sempre stati frequentati dall’uomo. I pastori di oggi sono ancora i diretti discendenti ed eredi di quelli che hanno costruito millenni or sono i nuraghe. Remota ed inaccessibile, questa regione ha conservato perfettamente integrale il suo fascino che ha portato l’attenzione negli anni settanta di naturalisti, attratti dalle potenzialità escursionistiche per il trekking, l’arrampicata, la speleologia e la canoa, nonché per la botanica e il bird-watching.
Il Sig Marroccu è uno di loro. Oggi è un uomo sulla cinquantina, di grande esperienza del luogo. Conosce quasi tutti da queste parti ed è stato tra i pionieri del turismo nel Golfo di Orosei, quando vent’anni fa portava i clienti in gommone da Cala Gonone fino a Cala Sisine. “Al tempo nessuno frequentava questa spiaggia. Esploravo io stesso per primo grotte non segnate da alcuna guida, risalendo sentieri impervi, compiendo arrampicate difficili verso le verticali vette delle pareti di Sisine, tra lo stupore e la meraviglia di quei turisti, per lo più inglesi e tedeschi, che toccavano il cielo con un dito e assaporavano il paradiso dell’eden incontaminato ancora tutto da scoprire. Si organizzava un campeggio con l’essenziale, vivendo in tenda, arrostendo il pesce fresco nei falò, prelevando l’acqua dalle poche sorgenti affioranti, seguendo un concetto di avventura alla Robinson Crusoe. Non esistevano posti come ‘questa Sardegna’ nelle precedenti esperienze di quei visitatori…”
Ascoltiamo i suoi affascinanti racconti mentre attraversiamo il paese di Baunei, letteralmente arrampicato sulla parete del Supramonte. Sotto si apre un baratro di 600 metri e il panorama spazia ampissimo fino al lontano mare di Arbatax. E’ un gran bel colpo d’occhio. Qualche ripidissimo tornante permette di raggiungere la cresta e da lì si apre una piana vasta ed isolata: il Golgo. L’altopiano è, soprattutto in primavera, uno dei luoghi più suggestivi di questa parte dell’isola. Percorriamo una decina di chilometri su strada desolata, tra la fitta boscaglia di lecci, raggiungendone il cuore. Qui sorge, su un antico luogo di culto, la bianca chiesetta settecentesca di San Pietro, del tutto simile ad una missione dei film western. Costruita nel secolo XVIII è ancora meta di un affollato pellegrinaggio annuale il 28 e il 29 giugno.
Tutta la zona è adattissima a passeggiate senza meta precisa, anche per una semplice scampagnata all’insegna di una giornata in mezzo alla natura. Vi sono panchine e tavoli in legno per un pic-nic, un ottimo ristorante aperto nei mesi estivi, un agriturismo e una cooperativa che offre camere per la notte oppure, per i più naturalisti, piazzole per accampare la tenda usufruendo dei servizi essenziali. Il tutto lontano dall’affollamento delle località più frequentate, tanto che si incrociano suini, bovini, pecore, capre, e si riesce persino ad avvicinare asinelli e cavalli che pascolano in totale libertà, spesso incuriositi dall’arrivo di turisti di cui non hanno timore e fastidio alcuno. Non è facile al giorno d’oggi essere a pochi chilometri dalla civiltà e trovare un luogo così incontaminato e affascinante.
Inizia la ripida discesa verso la codula di Sisine, un vero e proprio canyon che sbocca dopo 15 lunghi chilometri nell’omonima cala. Il tragitto si rivela subito sensazionale: interminabili valloni, mastodontiche pareti rocciose, alberi secolari, giganteschi massi depositati sul letto del fiume asciutto ora ridotto a ciottolato, segni evidenti di frane e cataclismi naturali che hanno segnato tutta la morfologia della zona. Il panorama diventa ampio e si restringe varie volte in un susseguirsi di emozioni indescrivibili. Ascoltare i racconti è una cosa, osservare con i propri occhi un’altra.
La flora e la fauna intorno ricalcano quelle del Supramonte, con evidenti differenze legate all’abbassamento di quota e al clima più mite. I lecci sono adesso più rari mentre i ginepri diventano onnipresenti e compaiono bellissimi oleandri. La codula si colora delle splendide fioriture delle peonie selvatiche, del biancospino, del cisto e delle altre specie tipiche della profumata macchia mediterranea. In cielo compaiono l’aquila, la poiana, il falco pellegrino e lo sparviero, ma i più fortunati possono raccontare di aver visto anche il grifone e l’avvoltoio monaco.
Incrociamo ‘su pinnettu’, una tipica capanna locale, costituita da pietre omogenee alla base, disposte come in un muretto a secco di altezza circa un metro, e da una copertura di forma conica realizzata con tronchi di ginepro rivestiti con frasche. Si intuisce facilmente la vita dura e solitaria che i pastori svolgevano anni or sono, e il perché i giovani d’oggi siano sempre meno disposti a seguire le tradizioni dei propri avi.
Ed ecco, dopo ore di cammino, la codula aprirsi a dismisura per l’ultima volta laddove appare il miraggio del mare: Cala Sisine è il gioiello che Sig. Marroccu ha promesso e finalmente realizziamo appieno ciò che egli ha narrato dei suoi lontani ricordi. Siamo solo in quattro e la spiaggia è tutta per noi! Il mare è cristallino e trasparente, di un azzurro più intenso che mai, mentre la falesia si erge ai lati altissima a proteggere la cala, circondata da vivaci fioriture primaverili. Sul retro, una scrofa allatta i suoi tenerissimi cuccioli che saltellano ovunque, mentre un piccolo mulo viene a curiosare tra gli zaini e delle caprette sbucano inverosimili da impegnativi spuntoni di roccia. Non riusciamo ad immaginare un contatto più diretto con madre natura. Il paradiso esiste davvero e lo abbiamo di fronte. Accampiamo in tenda tra i ginepri e accendiamo un falò, mentre scende veloce la notte. Osserviamo, più che mai lontani dall’illuminazione della civiltà, uno spettacolare e limpidissimo cielo stellato, con una brillante via lattea che lo divide esattamente in due. Un profondo senso di pace invade il nostro animo.
Non potremo mai ringraziare abbastanza Sig. Marroccu per il dono di questa esperienza. Certo, rispetto ai racconti di venti anni fa oggi le cose sono cambiate: i sentieri sono segnati, battuti, alcune guide conducono i visitatori più pigri su fuoristrada a poche decine di minuti di cammino dalla spiaggia, e dal mare giungono nei mesi cruciali di luglio e agosto molte imbarcazioni da Cala Gonone. Ma nonostante questa evoluzione, il fascino di Cala Sisine in un giorno di primavera di aprile o maggio, quando è possibile ancora senza difficoltà ritrovarsi a tu per tu, così piccoli, sul fondo di quelle immense pareti scolpite nei millenni, beh…quel fascino è ancora intatto, più intenso e forte che mai, capace di regalare toccanti ricordi nel cuore di chi abbia conservato lo spirito innato nell’uomo per un pizzico d’avventura, di chi abbia avuto il coraggio di rinunciare al relax dello sdraio sulla spiaggia a scapito di una gita più energica e ricca di suggestioni, di chi abbia avuto la costanza di arrivare qui dopo una lunga e faticosa camminata nel cuore della Sardegna… queste sono ancora sensazioni difficili da eguagliare, e nessuno di quelli che le ha provate potrà mai dimenticarle.…
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